Eccoti, esausto da una notte di pianto, rannicchiato sul divano,
il pavimento, ai piedi del letto, ovunque cadi cadi piangendo,
mezzo stupito di ciò di cui il corpo è capace, non credendo di poter piangere
più. Ed eccoli lì, i suoi calzini, la sua camicia, la tua biancheria intima
e i tuoi guanti invernali, tutti in un mucchio sciolto vicino alla porta del bagno,
e cadi di nuovo. Un giorno, anni da oggi, le cose saranno
diverso, la casa pulita per una volta, tutto al suo posto, finestre
splendente, sole in arrivo facilmente ora, scorrevole attraverso l’alta lucentezza della cera
sul pavimento in legno. Sarai sbucciando un’arancia o guardando un uccello
primavera dal bordo del tetto accanto, notando come,
per un istante, il suo corpo viene fermato in aria, solo un momento prima
raccogliendo la volontà di volare nella gorgiera alle sue ali e poi farlo:
volare. Leggerai, e per un momento ci sarà una parola
che non capisci, una parola semplice come ora o cosa o è
e rifletterai su di essa come un bambino che scopre la lingua.
È che lo dirai più e più volte finché non inizierà a dare un senso, e questo è
quando lo dirai, per la prima volta, ad alta voce: è morto. Non sta tornando
. E sarà la prima volta che ci crederai.
* originariamente inviato il 22 maggio 2014.