È un termine troppo complesso e ha troppi significati, alcuni dei quali sono meno nefasti di altri; prendiamo il postmodernismo come linea di base, anche se questo è per semplificare e restringere eccessivamente la gamma lessicale del termine. Qualsiasi risposta a questa domanda deve e avrà un’imprecisione incorporata; si lionizzerà o denigrerà qualcosa di troppo grande e amorfo per vedere chiaramente o parlare chiaramente, specialmente nella bussola di una risposta di Quora. Lo ammetto fin dall’inizio.
Detto questo, credo che ora deciderò. Suonerò come una manovella, o un vox clamantis in deserto, a seconda delle tue inclinazioni, sensibilità e valori. Questo sproloquio riflette alcuni dei miei. Non sorprenderà nessuno che mi conosce affatto.
In generale, definirei il “postmodernismo” come uno sviluppo deplorevole nella civiltà umana – un grande movimento verso la strumentalizzazione, l’iper-specializzazione, la mercificazione, la desensibilizzazione, l’anestesia (nel senso etimologico: nessuna estetica), e una destabilizzazione fondamentale della coscienza umana che non solo mette “sé” tra virgolette, ma lascia che “sé” riceva la sua auto-comprensione tanto dalla raffica ininterrotta di immagini, soundbites e rumore bianco quanto da qualsiasi impegno di primo ordine con il mondo o interazione diretta con altre menti-una spinta implacabile e cieca verso un’inautenticità che non può riconoscersi come tale. I soggetti postmoderni vanno in giro a recitare lo show televisivo nelle loro teste; imparano a vivere guardando immagini preconfezionate della vita su varie”piattaforme” ; si siedono a cena insieme senza guardarsi l’un l’altro, giocando con i loro smartphone; apprezzano il livellamento di tutti i discorsi, poiché questo li allevia da qualsiasi imperativo da imparare o conoscere; la loro etica è relativista e sono sorprendentemente narcotizzati rispetto al loro stesso sfruttamento. Non è, in breve, bello.
Non penso a me stesso come “postmoderno”, il che significa che mi considero come qualcosa di anomalo — una reliquia in qualche modo spinta online. Il “postmodernismo” è riuscito a ironizzare praticamente tutto ciò che io, come umanista della vecchia scuola, valuto, e a codificare e istituzionalizzare tutto ciò che è verde, buono e cresce in un’omogeneità burocratica, sovra-specializzata, compartimentalizzata, economica, ingannevole, panoptica, invasiva e ripugnante. Lo fa anche a movimenti che abbracciano l’eterogeneità, che trovo un’ironia particolarmente amara: è assimilativa al punto che ciò che è diverso è in un certo senso solo l’ultima strategia di mercato. Il postmodernismo va di pari passo con la particolare forma di capitalismo che sta guidando l’America verso una radicale disuguaglianza di ricchezza. Non tanto negare l’esistenza della bellezza, come non riescono a percepire, o lotta, di infangare il nome di un egualitarismo che posti tutti uguali sulla pianura abissale di mediocrità; è fatiche a relativizzare la verità, o rendere in qualche modo “pittoresco” alla luce di fattori economici e realpolitik; trasforma qualsiasi espressione di tenerezza nel sentimentale, e possano denigrare il sentimentale, in modo che “ti amo” diventa un luogo comune che esprimono un secondo ordine di esperienza. Nel frattempo gli adulti possono andare in giro a chiacchierare di “guidare l’innovazione e aggiungere valore alle nostre soluzioni esistenti per fornire un servizio best-of-class ai nostri clienti” e altri tali cazzate.
Oh, e ci ha dato anche hipsters-quella versione postmoderna del dandy.
Che esprime una delle verità profonde sulla gamma lessicale del postmodernismo e sulla ripugnanza globale: in essa si possono trovare la logica predatoria di Wall Street e delle grandi banche, e l’impulso culturale di Occupy Wall Street e dei fops che ne hanno fatto un’assurdità senza direzione e inefficace. Il postmodernismo, o la condizione postmoderna, è anche un grande catalizzatore per la divisione e la polarizzazione — e “monetizza” tutte le parti, sempre.
Non riesco a pensare a nulla di più espressivo dell’era postmoderna in America della candidatura di Donald J. Trump.
Questo è abbastanza farneticante, suppongo. Ma ecco un’immagine di postmodernità: